ELEZIONI: Grilli Giaguari Pachidermi a Fontamara

Redazione
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Fontamara ed il nuovo che avanza (commento serio ma confuso)
Grilli Giaguari Pachidermi

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Da molto (troooooppo) tempo andiamo sostenendo una semplice tesi: da noi – potendosi per di più intendere, questo “noi”, per una volta, riferito indifferentemente al nostro rione, alla Marsica, all’Italia (poco cambia, rappresentando ciò una matrice realmente nazionale) – si annette troppa importanza al momento elettorale e, di converso, si attribuisce scarsa rilevanza (e si dedica ancor meno impegno) all’attività politica, almeno a quella svolta seriamente, sul territorio, nel (notevole) lasso di tempo intercorrente tra un voto ed un altro.
Nei frangenti elettorali il paese (ma il discorso vale, identico, per il Paese) si trasforma in un crogiolo di tifo ove, bandito il buonsenso, ci si consuma sino allo sfinimento per vedere trionfare, nei soli nostri insignificanti quattro seggi – che non modificano / e mai potrebbero, stante la scarsa rilevanza numerica degli aventi diritto / i destini di alcun popolo, di alcuna competizione – schieramenti ai quali, spesso, non è associata alcuna idea guida, alcun progetto, talvolta nemmeno un comparaggio, un mezzo posto di lavoro. La vanità e le velleità vellicate dalla gara nell’urna hanno spesso vanificato anni e anni di coesistenza pacifica, sfasciato amicizie ed iniziative in nome di non si sa bene cosa, in massima parte per beneficio o semplice divertimento di “forestieri” (usi, una volta lontani, a dileggiarci come l’Impresario i “cafoni” in Fontamara [il romanzo]). Per tacere della confusione imperante in tali competizioni, negli ultimi anni, dove non è stato raro l’ammirare la progressiva perdita del senso della distinzione che intercorre tra elezioni politiche, regionali, provinciali, comunali (con taluni protagonisti dediti a combattere delle proprie personalissime comunali in seno alle liste provinciali; o delle elezioni provinciali nel ventre delle politiche; o – la cosa peggiore – le politiche alle elezioni per il sindaco).
Tale tara del disinteresse per la vita pubblica nei tempi normali, dovuta ad una serie di fattori storici e ambientali di origine antichissima (fattori sui quali sarebbe arduo se non impossibile intrattenersi senza rischiare di strologare e vaneggiare), è chiaramente riscontrabile nella nostra vita di tutti i giorni. Da noi si somma, con disperanti effetti moltiplicatori dell’alienazione, ad un declino economico ormai strutturale, quale quello vissuto nella degradata periferia che risponde al nome di Altipiano del Fucino, declino che ha vieppiù cortocircuitato il rapporto tra mondo del lavoro e apparato partitico-burocratico pubblico. Pur “studiandolo” (con i pochi mezzi a disposizione) e denunziandone alcuni gangli psicologici, abbiamo sempre tentato di restare il più possibile estranei all’impasto tra l’interesse dei pochi ed il disinteresse dei più (meccanismo deteriore che sinteticamente potremmo sintetizzare e far passare sotto la definizione di «clientelismo»), e quindi sufficientemente lontani da tessere e liste. La qual cosa non ci ha impedito di prendere parte, anche con un paio di endorsement (indicazione e pronunzia in favore del candidato a nostro avviso migliore), alle recenti amministrative, quando su una serie di temi esiziali (discarica, ospedale) abbiamo ritenuto doveroso e utile farlo. Ma la linea principale di questo foglio è stata quella di occuparsi dei fatti soprattutto nei momenti di stanca, quando cioè una larga parte della popolazione, legittimamente dismette la foga e l’interesse (sentimenti peraltro sempre più declinanti) per la competizione tra partiti e liste, mette al fuoco bigliettini e volantini con le belle facce dei concorrenti, e torna ad occuparsi d’altro, lasciando la gestione della cosa pubblica in totale balìa di una classe dirigente quasi sempre famelica, spesso inadatta al ruolo e, quando preparata, troppo sola per opporsi ai dettami di gruppi espressione di interessi organizzati i più vari, ansiosi di realizzare la qualsiasi, dal bestiale cementificio al piccolo abuso in danno del marciapiede pubblico. I risultati di tale apatia dell’opinione pubblica (ma sarebbe meglio parlare di atrofia della stessa, se non di inesistenza, non potendosi ascrivere i ritorni di fiamma dei periodi elettorali ad un sano suo dispiegamento) stanno emergendo vieppiù dai resoconti dei giornali serii sul Consorzio acquedottistico o sulle molteplici criticità che hanno precipitato la nostra porzione d’Abruzzo nella più cupa disperazione (l’emblema è Micron, con un transito di asset che annunzia tempesta e disastro; transito non a caso, temiamo, annunziato nel mentre si aprivano le urne delle elezioni politiche, al riparo del clangore degli exit-poll).
L’attuale sindaco di Pescina rientra, a nostra opinione, nel novero di coloro che di Politica (dall’etimo greco: delle cose della città) si sono sempre interessati, sacrificando spesso tempo ed utili allo studio di carte e procedure sotto le quali, di solito, gli interessi inconfessabili vengono celati, affinché passino sotto silenzio, talvolta avversandoli con una qual certa efficacia. Ci siamo quindi un poco stupiti quando, in occasione delle recenti elezioni generali politiche, Maurizio Di Nicola ha prodotto un’aulica lettera in favore di un candidato fontamarese. Non che egli non potesse pronunziarsi per il proprio vicesindaco (che ci è pure parente), né che – in uno Stato dove le massime Autorità conducono campagne elettorali estenuanti con poco riguardo della circostanza che nelle loro carica rappresentano tanto chi li voterà tanto chi non li sceglierà – il primo cittadino di Fontamara non potesse permettersi di caldeggiare uno schieramento politico nazionale piuttosto che un altro (ci mancherebbe altro!). Quel che ci ha stupito è l’uso, per una volta ridondante, di toni vagamente apocalittici, quasi che ci si trovasse, con il nome di Tonino Iulianella a mezza costa nella lista Udc, dinanzi ad una scelta definitiva, ad un’ordalia addirittura decisiva per i destini di Pescina. A chi, come noi, nelle ultime tornate (la provinciale e la comunale), pure ha plaudito al ricorso a toni similari (per l’ospedale, per la nota discarica di Valle dei fiori), questo ennesimo “al lupo al lupo” è parso decisamente eccessivo, ed in potenza controproducente anche per la solidità della stessa amministrazione comunale (altra storica sindrome della contrada: quella di sottoporre delle già deboli compagini comunali al continuo tempestoso collaudo di caduche aggregazioni chiuse da segreterie nazionali e regionali, a centinaia di chilometri: come si fosse dei topi di laboratorio). Ma il vero retrogusto di questa lettera del sindaco risiede, alla fine, in una considerazione più generale sull’offerta politica di questi pessimi tempi: pur con le migliori intenzioni, incardinare delle future prospettive di un futuribile voto (regionale) su un voto politico così difficile fa sospettare che non si sia esattamente percepita la volatilità della situazione (ove intere compagini, ivi compresa quella scelta dal sindaco e dal vicesindaco, corrono il fondato rischio di scomparire, a breve) e ci è sembrata una deviazione da un percorso virtuoso (oculato). La stessa reazione “piccata” di Maurizio Di Nicola al successo grillino a Pescina e non solo ci dà modo di affrontare l’evidente discrasia tra l’offerta della «vecchia politica analogica» (definizione di Roberto D’Agostino) inverata dal mitologico borsello di Tonino con la marziana effervescenza “digitale” del «Movimento 5 stelle». Tutto, localmente, è apparso molto “analogico” (la candidatura giovane di Francesco Raglione di San Benedetto dei Marsi con il Pdl [insieme, purtroppo, alla radio con i fusibili]; la lettera del celanese Elio Morgante su Piccone, Verrecchia e Di Censo [quando sarebbe stato molto digitale la spiegazione di Elio, persona molto seria, su come abbia fatto a resistere quale vice di Piccone per diversi anni]).
Si dirà, a battuta: ma il digitale (televisivo) ci sta facendo penare, mente l’analogico era tanto bello! In effetti non è affatto detto che la politica digitale non ci riservi l’ennesima disillusione ma del fenomeno va preso atto. Noi, proprio per le caratteristiche trasversali ed uniformi sul territorio nazionale, vediamo, nello tsunami di Grillo, la conseguenza – non logica né scontata ma infine inevitabile – di una protratta gestione dissennata della cosa pubblica.
Più che per (nientemeno) «bloccare la dinamica del dominio finanziario in Europa» (Franco Berardi), a noi il movimento “cinque stelle” appare nato per incarnare una reazione più concreta e vicina. Se, come sostiene Carlo Freccero, le barriere di classe sono state abbattute dal consumo,  il prodotto (in senso buono) di Grillo, del tutto non-ideologico pur atteggiandosi come genericamente progressista, nasce sotto l’egida della paura del non-consumo, dello stadio successivo cioè della nostra civiltà che ci attende dietro l’angolo (da noi attanaglia già parecchi, in questi casi siamo sempre all’avanguardia). Ma pur ancora consumismo puro, con quel porgere di slogan da parte del leader e l’impressionante assimilazione-digestione del relativo bolo nelle piazze e nei profili di facebook. Proprio qui risiede, secondo noi, il problema.
Sandrone Dazieri, argomentando il proprio non-voto per Grillo (uno dei pochi commenti seri in un mare, oggettivo, di invettive ed analisi a prescindere contro il “cinque stelle”, che hanno peraltro fatto, oggettivamente, gioco a Beppe) scrive:

[…] la democrazia è una rottura di palle. Per prendere una decisione devi discutere, poi discutere ancora, e ancora […] Si perde un sacco di tempo e non è detto che vincano le idee migliori: ci sono quelli che solo perché parlano bene riescono a tirare dalla loro parte gli indecisi anche se le loro idee sono idiote. Tantissimo tempo consumato, strappato alla vita […] Ma non c’è un’alternativa. Perché quello che esce da tutte quelle parole è il pensiero di un movimento ed è straordinariamente potente, può davvero cambiare il mondo […] Vedete, quello che voglio dire è che la democrazia è la sostanza dei movimenti, non la forma esteriore. Prendiamo una delle parole d’ordine del movimento 5 stelle, che è quella del No alla Tav. Il No alla Tav non è nato da uno che si è svegliato una mattina e ha detto: ragazzi, adesso blocchiamo i lavori. E’ successo che della gente che abita nei paesi limitrofi ai lavori si è preoccupata per la propria salute e per lo sperpero di denaro pubblico, ha cominciato a vedersi, ha cominciato a discutere il da farsi.
E anche lì ci sarà stato il coglione che avrà detto mettiamoci una cintura di dinamite, e il provocatore che avrà detto il treno è progresso fingendo di non capire che non tutti i treni sono uguali. Ci sarà stato quello che credeva alle scie chimiche, ai rapimenti alieni, ai Maya. Ma con pazienza quelli che si sono riuniti per sere e sere, dedicando fette enormi della loro vita, hanno deciso di fare presidi e blocchi, hanno cercato di portare alla ribalta nazionale il concetto di No Tav, hanno costruito un movimento vero. Adesso chiunque può salire su un palco e dire No Tav, adesso è facile. Ma senza di loro non sarebbe stato possibile.

Qui rincrociamo il sentimento diffidente del sindaco di Pescina e crediamo di essere ancora in sintonia (anche direttore e proprietario di questo foglio non hanno votato per Grillo). Almeno su questo aspetto. Ci chiediamo: il “cinque stelle” è relativamente nuovo (relativamente: in fondo ha cinque anni) e non possiamo accusarlo di latitanza ma coloro che oggi si fregiano della vittoria, in quanto persone che vivono certamente da più tempo del “cinque stelle”, dovrebbero dirci dov’erano, quando gli ospedali da noi venivano chiusi, dov’erano quando facendo le fosse coi piedi abbiamo impedito si realizzasse il mostro di Valle dei fiori. Quasi mai visti. Non pervenuti. Delle non-facce. Oggi apprendiamo che i grillini marsicani si starebbero interessando alla situazione debitoria del Cam: va bene, non è mai troppo tardi (forse sì, nel caso del Consorzio), e nessuno detiene esclusive, però non è che quel che si vede a livello locale si traduca o si tradurrà in novità tali da dover far aprire l’ufficio brevetti la notte. Ancora non arrivano all’analogico (ovvero: acquisizione dei documenti e loro comprensione). Per migliorare la situazione occorrerebbe uscire dall’immagine, e calarsi effettivamente nelle questioni, e sotto tale profilo non c’è da essere troppo ottimisti. Speriamo di essere in errore ma temiamo che l’elaborazione prossima dei “cinque stelle” nella Marsica non sarà di così alto livello. Ma questo massiccio consenso elettorale ottenuto non è da demonizzare, se solo si pensa al programma declamato: mai avremmo immaginato che una piattaforma ambientalista così spinta e pervasiva potesse avere/conseguire tanta forza elettorale,  in specie ove, come da noi, l’appellativo “ambientalista” suona come un insulto. Non è da demonizzare perché dall’altra parte ci sono solo macerie: dalle precedenti politiche in Abruzzo dell’anno 2008, il Pdl (partito che ha detenuto, in questi anni, le leve del potere a Roma, alla Regione, in Provincia [tutte e quattro le Province], senza alcun contrasto vero) ha perso, alla Camera, in un collegio elettorale di poco più di un milione di aventi diritto al voto complessivi, quasi 160.000 (centossessantamila) consensi, di persone rifugiatesi nel non voto e in Grillo.
Il Pd non sta meglio, con -100.000 (centomila), persi per strada a furia delle continue prese per il culo, alternate al silenzio e all’indifferenza più totali, propinate ai cittadini per mano e voce di una classe dirigente paurosa e tremendamente autoreferenziale. Voti persi per sempre. Ripartire per costoro non sarà facile. Lo dimostra, torniamo per finire di nuovo a bomba, ovvero a Pescina, l’emblematica situazione dell’unico gruppo di giovani teoricamente dediti alla politica, i “Giovani democratici”, che dovrebbero rappresentare la speranza della ripresa del Pd: nel loro programma di sei mesi fa si enunciavano una serie di obiettivi – tra i quali quello del confezionamento di un foglio – nessuno dei quali è stato raggiunto. Sinora, la loro attività si è limitata all’incontrare degli apparatosauri in cerca di voti, la Pezzopane e la Concia ( la prima, nemica giurata della Marsica): ed allora, come censurare il rifugiarsi in Grillo?
fmb

 

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