ELEZIONI – Abruzzi al 33%: marginalità, abbandono, perdita di senso

Redazione
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La campagna elettorale che (fortunatamente) volge al termine è stata un’autentica sofferenza. Se Silone preconizzava uno scontro finale tra comunisti ed ex-comunisti, e Umberto Eco, diversi anni più tardi, ha creduto di individuare e dividere i contendenti del fronte tra apocalittici ed integrati, ora – ci sentiamo di dire, rubando un’immagine al sindaco di Fontamara, anch’egli candidato –  inopinatamente, siamo giunti sul baratro del cozzo di civiltà tra analitici e superficiali. E non vi è bisogno di dire (è sufficiente avere le orecchie) chi stia ponendo le basi per prevalere: come non occorre essere dei politologi per verificare la facilità con la quale dei modelli estremi attecchiscono in una società povera, attraversata da una pesante crisi di senso.

Micidiali scalmane tra candidati e gruppi locali [i partiti intesi come associazioni tra persone accomunate da una comune finalità politica ovvero da una visione condivisa su questioni fondamentali della gestione dello Stato e della società o anche solo su temi specifici e particolari, volte ad operare per l’interesse collettivo, non esistono più, e da tempo] non sono mancate, soprattutto per le elezioni regionali (le europee, in una contrada che ha scarsissime chanche di portare un proprio rappresentante a Bruxelles, non sono neppure considerate), ma il polverone, a guardarlo in prospettiva, non è stato né particolarmente appassionante – potendolo ricondurre ed ascrivere ad un enorme zuffa paesana: ovvero un’enorme consultazione per le comunali riprodotta in scala superiore – né foriero, temiamo, per il prossimo futuro, di pagine esaltanti per i Tre Abruzzi.

Luciano D’Alfonso, dopo aver vinto le primarie, si è redatto, sostanzialmente da solo (prova dell’autoreferenzialità sono i corridoi ionici, le marche adriatiche e le varie altre fisime geopolitiche che infestano e funestano il ponderoso testo, delle quali sarà interessante vedere la traduzione in atto/i) un programma bionico ed un tour in camion; gli altri candidati presidente – eccezion fatta per qualche volontaristica peregrinazione verbale di Maurizio Acerbo (sinistra ambientalisti e vari) – si sono limitati al minimo sindacale. Per opposte ragioni, Chiodi (centrodestra) e la Marcozzi (M5S) hanno probabilmente fatto bene a tenere un profilo basso, in specie la seconda, che si è appreso aver votato per il centrodestra alle ultime regionali e aver lavorato presso lo studio legale Legnini (il sottosegretario Pd): cose di per loro non disdicevoli, se ad annoverarle nel proprio pedigree non fosse chi capeggia un movimento che criminalizza ogni passato rapporto (degli altri) con i vecchi partiti (tranne averne riciclati un bel fracco – e non poteva essere altrimenti – di anonimi delle terze file di quei sodalizi).

Proprio il chietino Legnini è stato il politico nazionale di maggior spessore chiamato alla chiusura (dalfonsiana) della campagna elettorale. Nulla di paragonabile, come impatto, con l’oceanica adunata di Beppe Grillo a Pescara, di martedì scorso. I due maggiori schieramenti tradizionali di centrosinistra e centrodestra non hanno dunque fornito big alla contesa. Chiodi, presidente uscente, addirittura termina la propria campagna (per una improponibile rielezione) in un locale aquilano, mestamente a supporto di un candidato consigliere (e non viceversa). L’assenza dei calibri pesanti, registrata in certi ambienti Pd più avveduti, non promette nulla di buono, per nessuno. Soprattutto perché attesta e ratifica quello scarso peso demografico degli Abruzzi (tanto magnificato dal D’Alfonso in uno dei suoi numerosi interventi televisivi) che ne fa una regione sostanzialmente marginale per gli esiti e i riflessi politici nazionali delle europee, al punto che il presidente del consiglio Renzi (che è anche segretario del Pd) opta, per chiudere, per Prato piuttosto che per Pescara (maggior centro abruzzese, dove si vota per europee, regionali e comunali); certo, potrebbe attestare il fatto, cotanto girare alla larga, che si sia certi del risultato: pure il differenziale di voltaggio tra centrosinistra e grillini in riva all’Adriatico è indubbio. Volendo, si potrebbe addirittura sospettare che, a Roma, D’Alfonso non piaccia (non è la nostra modesta opinione). Ma il tour elettorale di Renzi in Emilia Romagna (terremoto 2012) e non a L’Aquila (terremoto 2009), suona veramente molto stonato…. Pure Grillo, come ci siamo permessi di ironizzare tra amici, a Pescara è accorso di martedì, alla stregua di quel complesso che in un film di Fantozzi festeggiava il capodanno ad orari differenti, per andare a suonare in più luoghi.

Stupisce anche che il centrodestra non sia stato in grado di mobilitare, al termine di una campagna molto difficile, quel Berlusconi leader tuttora carismatico che nelle tristi contingenze del terremoto aquilano del 6 aprile accorse, nel cosiddetto Cratere, per ben 35 (dicesi: trentacinque) volte, al capezzale della nostra martoriata provincia. Se la memoria non ci inganna, in quel torno di mesi, il segretario del Pd venne una sola volta. Stiamo parlando di un luogo raggiungibile, dalla Capitale, con un’ora scarsa di macchina. Anche qui: certezza del risultato (al contrario), oggi. Per allora, il tempo trascorso e dei recenti fatti di cronaca ci hanno suggerito dei cattivi pensieri sulla costruzione del Progetto Case e sulla sua manutenzione, che ci riserviamo di narrare per bene.

L’impressione generale è che, con le regionali, uno schema a due contendenti simulati (centrodestra e centrosinistra) stia per lasciare spazio ad un gico politico a tre piazze, dove il terzo incomodo, i grillini – in una grandioso processo di autoriciclaggio della vecchia politica – arriva a giustificare e legittimare l’unione tra i primi due (si nota già una diffusa promiscuità nello schieramento di D’Alfonso) onde asseritamente combattere il barbaro, ammuina già posta in atto con profitto a livello nazionale nei mesi scorsi, con soddisfazione tripartisan. Sia ben chiaro: si spartirà (nel senso di influenza politica, ovvio) in parti uguali!

Rientra nel fisiologico (è una legge fisica) la reazione uguale e contraria che movimenti sedicenti anti-politici muovono alla politica: la lunga gestione dissennata della cosa pubblica, negli Abruzzi, non poteva che produrre, inevitabilmente, come scoria (tossina), che un sottoprodotto, dove al ragionamento è sostituita una chiassosa epifania del tutto sprovvista degli elementi culturali e degli strumenti di conoscenza minimali necessari a (tentare di) “modificare” realmente un sistema (e non solo alcune persone nelle poltrone). Migliaia di invettive nei riguardi dei politici: nulla sulla dirigenza regionale, il vero “cancro” abruzzese. Scoria che, viene il sospetto a questo punto, potrebbe costituire la terza gamba del sistema, e non il chiavistello per scardinarlo.

La cosa potrebbe far arricciare il naso (uno dei numerosi nasi) a qualche amico dei meet up, ma tutto quel diluvio di #vinciamonoi ingenerato da Beppe Grillo a Pescara, non è stato coltivato preventivamente e assecondato dai candidati regionali del movimento, i quali si sono ben guardati dall’incidere, in una campagna alla quale hanno portato un contributo di idee e di voti molto contenuto. D’altronde, quando si va con l’abbrivio del vento in poppa di Beppe showman, non è nemmeno il caso di sbattersi troppo. Nonostante l’agitazione (e la sincera fede) di alcuni ultras, i grillini abruzzesi hanno ampiamente dimostrato di non voler vincere. Non voler vincere. Basta un buon piazzamento. E guai a vincere, senza essere pronti…. Il differenziale tra voto europeo nazionale, voto europeo abruzzese e voto regionale ci dirà se stiamo farneticando, o sino a quale punto. E’ lo spread di “formazione politica”. Quella formazione che i grillini locali – praticamente invisibili sino all’affermazione politica di M5S nello scorso 2013 – hanno equivocato scambiandola per pletoriche riunioni permanenti di organizzazione e di funzionamento (nel mentre fuori la devastazione del territorio è tranquillamente proseguita) alle quali ha fatto seguito una elaborazione delle questioni locali piuttosto insoddisfacente (parere personale e opinabile, certo, ma che si potrebbe argomentare, ove ne valesse la pena: a pagamento, dunque).

L’unica cosa certa, a nostri occhi, che abbiamo guardato con speranza al sorgere del movimento grillino e al suo abbraccio di un programma ambientalista spinto, è che il giorno dopo le elezioni saremo di nuovo in pochi, a chiedere e sperare in una svolta che negli Abruzzi periferia dell’impero (e men che meno nella Marsica, suo distretto energetico-minerario) non avverrà.

Franco Massimo Botticchio

(Il Martello del Fucino / giornale anarchico-democristiano di Fontamara)

 

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