Comunicato di LIBERA Abruzzo. Lo strano affare della Super Soprintendenza

Redazione
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libera-logo-web.jpgComunicato di LIBERA Abruzzo: lo strano affare della Super Soprintendenza: “a l’Aquila le emergenze iniziano anche a 6 anni dal sisma”

L’Aquila, 3 dicembre 2014

Come coordinamento abruzzese di LIBERA associazioni nomi e numeri contro le mafie, lanciamo l’allarme sul decreto ministeriale – di prossima emanazione – con il quale il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, nel rimodulare la propria articolazione sull’intero territorio nazionale, riserva al cratere aquilano una nuova gemmazione di quel sistema emergenziale che ha sinora dato pessimi frutti.

Con la riorganizzazione in itinere, infatti, il Ministero prevede la creazione di una «Soprintendenza unica Archeologia, belle arti e paesaggio per la città dell’Aquila, istituita, fino al 31 dicembre 2019, ai sensi dell’articolo 54, comma 2-bis, del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300».

Si andrà così ad insediare una nuova struttura che assorbirà parte delle competenze sino ad oggi appannaggio della Soprintendenza Belle arti e paesaggio di L’Aquila, della Soprintendenza archeologica di Chieti (mentre addirittura la Soprintendenza archivistica viene inspiegabilmente trasferita da Pescara a L’Aquila) e che realizza, infine, un autentico duplicato con il Segretariato regionale (già Direzione regionale).

L’operazione, dal punto di vista operativo e dei costi, è chiaramente irrazionale. Risulta invece inquietante se si indagano le competenze che la nuova struttura avrà, perché concentra in poche mani un potere enorme.

Alla Soprintendenza Unica per il Cratere vengono infatti assegnate – oltre le competenze previste dall’art. 33 del DPCM 29 agosto 2014 e comuni per tutte le Soprintendenze d’Italia – anche quelle proprie dei Segretariati Regionali. In particolare:

e) pareri di competenza del ministero anche in sede di conferenza dei servizi per gli interventi di ambito regionale, che riguardano più Soprintendenze di settore;

l) stipula accordi e convenzioni con i proprietari di beni culturali;

o) funzioni di stazione appaltante per interventi con fondi dello Stato o affidati in gestione nonché per acquisti e forniture, servizi e lavori (si ritiene sia da escludere il secondo periodo del c. 2e) relativo al “supporto amministrativo a tutti gli uffici periferici…”).

Nelle mani della Soprintendenza Unica per il Cratere si concentrano così poteri e prerogative configuranti un’ampia autonomia in relazione ad aspetti sensibili della tutela, in particolare nell’utilizzo dei fondi. Soprattutto, si riducono o eliminano le possibilità di controlli da parte delle altre strutture.

L’esperienza maturata dopo il 6 aprile 2009 – e la cronaca giudiziaria di questi anni – ci ha ammaestrati e vaccinati sui pericoli delle gestioni emergenziali post-sisma. Seguendo l’odore dei soldi, il sospetto che quella dell’istituzione della Soprintendenza Unica per il Cratere potrebbe risolversi nell’ennesima puntata di quella sfortunata ed opaca gestione dell’emergenza aquilana che anche in questi giorni continua a dare un pessimo spettacolo. Il sequel del brutto film emergenziale del quale non vediamo l’ora di assistere alla fine.

Angelo Venti

Coordinatore abruzzese di

LIBERA, associazioni nomi e numeri contro le mafie

Per scaricare il pdf del comunicato CLICCA QUI

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Le vicissitudini del patrimonio artistico

Cosa abbia determinato il terremoto del 6 aprile 2009 è sin troppo noto. Nel novero degli oggetti da sottoporre ad una curatela emergenziale, furono subito ricompresi anche i beni culturali intesi quali monumenti e edificio di pregio, incluse quindi gli edifici di culto della Città di L’Aquila.

E’ forse un caso, ma dove quest’esautoramento non vi fu, ad esempio per gli archivi, si segnalò la riattivazione, a Bazzano, a tempo di record, dell’Archivio di Stato dell’Aquila, da parte della preposta direzione del Ministero [e non del Commissario Bertolaso o della Dicomac], con la documentazione integralmente riscavata e salvata dal crollo del complesso di Sant’Agostino della vecchia prefettura, dove era in precedenza allocato.

I risultati di tale gestione straordinaria si sono purtroppo ammirati: “Sisma L’Aquila, 5 arresti per corruzione. C’è anche l’ex numero due di Bertolaso“.

In tutto questo panorama plumbeo – non molto diverso da quello che ha contraddistinto, sempre con il ricorso a ordinanze in deroga, i vari step della ricostruzione complessivamente intesa – si sono avvertiti interventi di diverse entità volti a determinare modi e operatori chiamati ad operare sui beni monumentali e le chiese. Tra questi interventi, clamorosi, nel primo periodo post-sisma come in tempi relativamente recenti, si è distinta la Curia aquilana, con modalità che hanno ingenerato molteplici perplessità. Già nel dossier di “Libera” sull’emergenza aquilana intitolato «La fine dell’isola felice» (diffuso nel dicembre 2010) scrivemmo:

«[…] IL PATRIMONIO ARTISTICO

C’è poi l’affare di cui non si parla ancora abbastanza, quello del restauro e del recupero delle opere d’arte, degli edifici artistici e di pregio fino ad arrivare all’immenso patrimonio della Chiesa. E il clero secolare ha imparato in fretta i metodi della Protezione civile: da un lato chiede finanziamenti pubblici per riparare le chiese, dall’altro deroghe alla legge sugli appalti, perché a gestire i soldi ci pensano loro […]»

Fenomeno che – per le sole responsabilità civiche e politiche – si ritrova riprodotto, mutatis mutandis, nelle risultanze della più recente inchiesta dell’autorità giudiziaria denominata “Betrayalnarrate dal sito News-Town :

«[…] A disegnare almeno i contorni della vicenda, la sostituta Antonietta Picardi che ha coordinato l’inchiesta con il collega David Mancini: “E’ vero che è stata condotta una indagine, è vero che sono stati commessi dei reati abbastanza gravi, ed è vero anche che non esiste un ‘sistema L’Aquila’. Ed è la cosa più importante. L’indagine è incentrata su alcuni imprenditori che avevano degli interessi specifici: riuscire ad ottenere i soldi impegnati per la ricostruzione dei beni culturali ecclesiastici e dei beni pubblici tramite dei metodi non corretti. Ad esempio: ci sono delle Chiese che hanno canoniche accorpate, e la canonica viene considerata casa privata. Dunque, si sono affidati incarichi specifici a progettisti e ditte secondo le regole della ricostruzione privata, e si è tentato poi – con una modifica del Dpcm – di considerare la chiesa pertinenza della casa privata. La legge lo impedisce e il Comune dell’Aquila, tengo a sottolinearlo, si è battuto in varie riunioni per dire che non avrebbe mai apposto la firma per la modifica del Dpcm, evidenziandone l’irregolarità” […]».

Questo – fatte salve le evidenze che in sede giudiziaria eventualmente emergeranno – tanto per segnalare come esista un problema politico su queste opere, siano esse di maggiore o minor pregio. Problema in buona parte riconducibile alla declinazione del sistema dell’emergenza complessivamente inteso per come concepito e modulato nella dislocazione aquilana.

Dopo il periodo della gestione commissariale di Marchetti, si è avuta quella della gestione pretesa ordinaria di Magani – direttore regionale dei beni culturali, dunque la figura più importante del ministero nella regione abruzzese – gestione anch’essa terminata in maniera burrascosa, riassunta ad inizio dell’anno 2014 dal sito AbruzzoWeb:

«[…] Una lettera rimasta segreta per un mese e uscita solo oggi, due giorni dopo l’annuncio dell’addio, attraverso un blog del periodico l’Espresso, prima che l’ufficio stampa del primo cittadino dimissionario la inviasse alle redazioni.

Cialente parte dal paventato trasferimento a Pompei del direttore regionale del ministero per i Beni culturali Fabrizio Magani, “siamo convinti che venga rimosso in quanto ostacolo a un disegno che si è tentato e si sta tentando di inserire come norma di legge, che vedrebbe la Curia, la più grande immobiliarista della città, diventare soggetto attuatore per la ricostruzione di tutti i suoi edifici, compresi i luoghi di culto”.

Si tratta dell’azione della Chiesa aquilana, anticipata giorni fa da AbruzzoWeb prima che spuntasse la nota del sindaco, tesa a ottenere direttamente dalla presidenza del Consiglio dei ministri l’emanazione di un decreto che “promuovesse” la curia aquilana, ente morale privato, al ruolo di soggetto attuatore, quindi, istituzione che ha la responsabilità di appaltare finanziamenti pubblici.

Abbiamo fondati sospetti – scriveva Cialente a Napolitano – che la rimozione del dottor Magani sia un tassello di un disegno, non considerato pienamente nelle conseguenze, che potrebbe comportare addirittura che i fondi per la ricostruzione privata delle case andranno a ricostruire le chiese. Chi lo spiegherebbe all’Italia?”. Nel testo viene fuori già un Cialente stanco, anche se non ancora deciso a mollare la presa, ma profetico quando si chiede “non sarebbe più giusto riconsegnare il nostro ruolo nelle mani del prefetto e far venire per un anno qui lo Stato che forse così prenderà finalmente coscienza di cosa è, oggi, una città che non c’è più?” […]»

Vicenda che – a prescindere dai contorni e dai toni della polemica – ripropone drammaticamente tutta la rilevanza della questione.

E ora cosa succede a quasi sei anni dal sisma? Si tenta di ricondurre il tutto nell’alveo della normalità, come sarebbe logico? No. Si fa l’esatto opposto. Si istituisce la Soprintendenza Unica per il Cratere. Fino al 2019.

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