Avezzano – In arrivo il “Museo marsicano” dei videogiochi e dei computer

Redazione
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AVEZZANO – È ormai prossima l’apertura di un vero e proprio museo marsicano dei videogiochi, dei computer, delle macchine per l’intrattenimento elettronico e del relativo materiale di corredo.

Il progetto è dell’Associazione Culturale elettroLudica e i lavori vanno avanti ormai da un paio d’anni in uno stabile nel Nucleo industriale di Avezzano. L’obiettivo principale è preservare tale patrimonio e valorizzare qualsiasi cosa, insomma, sia alimentata dall’energia elettrica e possa essere utilizzata per giocare, con un occhio di riguardo anche per l’informatica vintage pura. Il museo è composto da un’area espositiva (circa 400 macchine tra computer, console, cabinati e flipper), una sala conferenze, varie zone multifunzione e – udite, udite – una sala giochi ispirata a quelle degli anni ’80, eccezion fatta per i banchi di fumo di sigaretta e la scarsa cura igienica. Ci saranno anche delle sale prove, che consentiranno ai visitatori di toccare con mano i videogiochi d’epoca per computer e console, e verranno proposte attività istruttive e corsi alle strutture scolastiche del territorio.

Il Museo si inserisce in uno scenario mondiale in grandissimo fermento

Il Computerspielemuseum di Berlino ha accolto più di mezzo milione di visitatori da quando ha iniziato la sua attività di raccolta e conservazione di computer e console. Il Regno Unito ospita musei dedicati ai videogiochi e ai computer in ogni suo angolo, o giù di lì. Le piattaforme di crowdfunding come Kickstarter sono zeppe di campagne di raccolta fondi per libri che parlano di console d’epoca e di sviluppatori impegnati nella realizzazione di videogiochi negli anni ’80 e ’90, di raccolte rimasterizzate di colonne sonore di giochi del tempo che fu, di riedizioni aggiornate di grandi classici per Atari 2600, di titoli nuovi di zecca per ZX Spectrum e chi più ne ha, più ne metta. Nei pressi della vetta della lista delle prenotazioni sul colosso Amazon, per intenderci, c’è una rivisitazione in scala ridotta del Commodore 64.

Ma perché mai l’associazione elettroLudica è impegnata nella salvaguardia di qualcosa di apparentemente futile come i videogiochi?

La risposta è in realtà più semplice: l’intrattenimento elettronico non è affatto banale come potrebbe sembrare. Il mercato dei videogiochi supera ormai in termini economici quelli del cinema e della musica, offre lavoro a migliaia di persone in decine di settori differenti ed è entrato pienamente a far parte della cultura moderna. Non si tratta, tra l’altro, di un fenomeno recente o improvviso: già negli anni ’80 la febbre di Pac-Man aveva toccato campi piuttosto lontani dalle sale giochi, generando – solo per fare un paio di esempi – un brano musicale accreditato dell’invidiabile Disco d’oro negli Stati Uniti e una serie animata trasmessa in tutto il mondo, Italia compresa.

Ma c’è sempre un ma

Il successo commerciale e/o popolare non basta a rendere qualcosa meritevole di conservazione, obietterà qualcuno. E a ragione. L’intrattenimento elettronico, però, non è solo denaro ammassato nelle segrete delle software house, silicio abbandonato e mai riciclato, occhiali tenuti insieme con il nastro adesivo e pillole da ingurgitare in un labirinto al neon. È anche questo, per carità, ma è pure una componente della vita di tutti i giorni e, soprattutto, una storia che si intreccia a doppio filo con quella dell’evoluzione dell’informatica e dell’elettronica. E questo è un qualcosa che dev’essere conservato.

Conoscere la scintilla

Sapere cosa, con il passare degli anni, ha portato alla nascita dello smartwatch che portiamo al polso o dello smartphone con cui possiamo ormai fare letteralmente di tutto ha un valore tutt’altro che trascurabile, tanto ai fini della memoria storica quanto in chiave educativa. Decenni di ricerca, di scoperte e di indagini scientifiche non possono e non devono andar persi nelle nebbie del tempo ed è proprio per questo che decine di associazioni come elettroLudica lavorano alla preservazione e al restauro di hardware e software a dir poco obsoleti in tutto il mondo. Studiare le basi dell’informatica partendo da quelle che ne sono di fatto le fondamenta potrà sembrare superfluo, ma può produrre la giusta forma mentis per sfondare un domani nel fiorentissimo mercato delle app per cellulari, per dirne una, o in quello (attualissimo) delle startup che applicano l’informatica e l’elettronica alla risoluzione di problemi che possono presentarsi nella vita di tutti i giorni.

Non è necessario conoscere il Commodore 64 per scrivere un’applicazione che ottimizza i risultati ottenibili con la fotocamera integrata di uno smartphone, sia ben chiaro, ma anche in campo lavorativo è possibile avere una cultura personale applicata. E l’informatica d’epoca, per determinati professionisti, è proprio questo: il glorioso passato che ci ha traghettato verso un presente potenzialmente altrettanto glorioso.

Che belli e che utili sono i vecchi computer, ma perché i videogiochi?

Perché, a ben vedere, sono andati costantemente a braccetto con l’avanzamento tecnico dell’informatica. Sono stati quasi sempre i programmi (perché di programmi si tratta) che hanno sfruttato al meglio e al massimo l’hardware di ogni epoca. Sono stati senz’ombra di dubbio i cavalli di Troia che hanno portato gli home computer nelle case delle famiglie di tutto il mondo. Sono stati un veicolo privilegiato per l’informatica e per l’elettronica, in particolare in Europa e in Italia. E sono essenziali anche dal punto di vista economico, come s’è detto in precedenza, oggi più che mai.

L’importanza dell’informatica vintage nella formazione dei ragazzi

Sono sempre di più i ragazzi che, una volta terminati gli studi obbligatori, vogliono imparare a realizzare videogiochi. Vogliono programmare, oppure creare personaggi e ambientazioni tridimensionali, o magari comporre musica o disegnare bozzetti e illustrazioni. Vogliono trasformare in un lavoro la loro passione, in poche parole, e anche in questo caso lo studio del passato può essere importantissimo. Può fare la differenza tra un game designer con idee banali e uno capace di attingere ai videogiochi degli anni ’90 per dar vita a una struttura universalmente appetibile, o tra un programmatore che segue pratiche standardizzate e uno che può pensare fuori dagli schemi e reinterpretare in chiave moderna tutti i trucchi che venivano impiegati per tirare il collo a macchine dalle potenzialità limitatissime.

Tanto per restare in tema, anche questo articolo è stato scritto su un vecchio Mac Classic usando l’altrettanto vecchio word processor MacWrite. Per l’esattezza, è stato assemblato su un Mac Classic emulato all’interno dell’ultimissima versione di macOS, uscita appena un paio di settimane fa. Una scelta quantomeno bizzarra e non di comodo che ha però una sua logica alle spalle: nessuno dei tre Mac Classic attualmente ospitati da ElettroLudica vuol saperne di funzionare. Se ne avete uno in buono stato (o qualsiasi altro computer/console o software di vecchia data) e desiderate supportare l’Associazione con una donazione o un prestito, contattateci pure accedendo al sito web elettroludica.it.


Shrapnel
Direttore
Associazione culturale Elettroludica

Il progetto in via di ultimazione è molto interessante e il discorso è estremamente ampio: sappiate sin d’ora che ulteriori informazioni verranno divulgate in futuro su site.it

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