ATTILIO BOLZONI – Dalla Calabria all’Emilia: Giovanni Tizian racconta

Redazione
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di ATTILIO BOLZONI

Conosco la strada maledetta che da Bovalino porta a Locri e conosco anche la Calabria mafiosa che da Reggio sale verso l’Aspromonte. Ma non riesco neanche ad immaginare cosa poteva essere quella strada e cosa poteva essere quella Calabria di quasi trent’anni fa, quando uccisero in una sera d’autunno un uomo che si chiamava Peppe Tizian. Un nome come tanti ingoiato dall’indifferenza e dalla paura, un morto dimenticato come tanti se non ci fosse stato un figlio che in nome del padre ha voluto ricordare a se stesso e all’Italia cos’è dignità e cos’è giustizia.

Giovanni Tizian è un mio collega, un giovane giornalista che scrive per L’Espresso. L’ho visto arrivare a Roma qualche anno fa. Se n’era dovuto andare da Modena – dove lavorava per la Gazzetta – perché qualcuno gli voleva «sparare in bocca» per un paio di articoli contro un signorotto del crimine. Tanto tempo prima Giovanni ancora bambino se n’era dovuto andare anche dalla Calabria, portato via dalla madre e dalla zia per farlo crescere lontano da un ambiente infame dopo l’uccisione del papà.

Destini che si incrociano intorno a una famiglia che aveva soltanto il desiderio di una normale esistenza, che s’inseguono dalla Locride alla pianura padana. Con quei “calabresi” che sono sempre lì, a minacciare le vite degli altri. Canaglie che il più delle volte sono rimaste impunite, padrone di decidere chi deve morire o chi deve mettere la testa sotto i loro piedi.

Poi c’è lo Stato, lo Stato che non fa sempre quello che deve fare. Due anni ci sono voluti ai familiari per visionare gli atti dell’inchiesta sull’uccisione di Peppe Tizian, ne sono passati altri ventotto e nulla si sa ancora sui mandanti e gli esecutori di quel delitto nella Locride. Niente di niente.

Frammenti di verità che Giovanni ricerca con la passione e il dolore ma anche con gli strumenti del suo mestiere, l’indagine e le connessioni, il contesto, le testimonianze, il racconto.

Da acerbo cronista Giovanni è diventato anno dopo anno giornalista di robusta struttura mantenendo – nonostante la vita blindata e una notorietà improvvisa arrivata con le gravi intimidazioni ricevute da un boss della ‘Ndrangheta – un profilo di sobrietà e di “educazione” per nulla comuni, un pudore molto meridionale che nasconde un privilegio: l’essere considerato per quello che è e non solo per quello che di tanto drammatico è accaduto intorno a lui e alla sua famiglia.

Qualche riga la vorrei dedicare infine al boss che l’ha minacciato, Nicola “Rocco” Femia, un imprenditore del gioco d’azzardo legato ai clan di Gioiosa Ionica. Arrestato, processato, condannato (e poi pentito), ha sempre indicato Giovanni Tizian come il “colpevole” delle sue disgrazie giudiziarie per quegli articoli. Una “moda” mafiosa che ha preso piedi in tanti altri luoghi d’Italia, quello di accusare alcuni giornalisti. Vuol dire che fanno bene il loro mestiere e le loro notizie fanno danno.

tizian webSul blog MAFIE inizia da oggi una serie dedicata alla storia di Giovanni Tizian che è sì la storia di Giovanni ma è anche quella di migliaia di uomini e di donne senza volto, voci soffocate, silenziate dall’ignavia di chi sta intorno a loro, da interessi meschini, da piccole e grandi complicità.

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